L’utilizzo del latte crudo per formaggi che non sono destinati a una lunga stagionatura può sembrare di primo acchito uno “spreco” di energie. Le qualità organolettiche del latte non avranno modo – in effetti – di evolversi e di esprimersi in quei sentori tipici dei formaggi stagionati ottenuti appunto da un latte non pastorizzato.

La ricchezza e la complessità di un buon latte crudo – per quanto a qualcuno possa sembrare contro intuitivo – si apprezzano maggiormente in un formaggio stagionato che non in un formaggio fresco: si pensi ad esempio a tutti quei formaggi prodotti in malga durante l’alpeggio e poi consumati nell’inverno successivo.

Ma nella mozzarella c’è un aspetto molto importante: l’acidità. In fase di produzione – per ottenere una buona filatura – la pasta deve avere un certo grado di acidità (questo vale per tutti i formaggi a pasta filata).

La fermentazione è possibile chiaramente solo se si usa latte crudo e siero innesto e comporta un notevole allungamento nei tempi di lavorazione e di utilizzo di manodopera. Tempo fondamentale affinché i fermenti lattici svolgano il loro lavoro con calma e conferiscano aromi che la mozzarella industriale non potrà mai avere. Inoltre – grazie all’opera di tali microorganismi – il lattosio presente nel latte viene trasformato in buona parte in acido lattico, quindi una mozzarella artigianale risulterà più digeribile – per chi è leggermente intollerante a questo zucchero – di una industriale.

Una mozzarella artigianale quindi non è tale solo perché utilizza latte crudo, ma richiede di conseguenza una grande competenza da parte del casaro, che deve essere in grado di gestire il delicato processo di fermentazione.